Sempre più di frequente, il tema del cambiamento climatico si affaccia sul nostro quotidiano: lo vediamo nelle pubblicazioni delle piattaforme social, ne sentiamo parlare nei TG nazionali, o più semplicemente, ne vediamo in prima persona gli effetti, affacciandoci alla finestra di casa.
Il fenomeno ha acquisito dimensioni tali, che molte comunità internazionali (purtroppo non tutte), hanno messo a programma politiche economiche che incentivano alla graduale decarbonizzazione del sistema industriale, ancora troppo dipendente dai combustibili fossili, quali carbone, petrolio e gas naturale, le cui emissioni, intrappolate all’interno dell’atmosfera terrestre, trattengono il calore del sole, provocandone un aumento delle temperature globali.
Con l'aumento delle temperature si rileva una maggiore umidità che accentua le precipitazioni estreme e le inondazioni, causando temporali sempre più devastanti. Anche la frequenza e l'estensione delle tempeste tropicali, cicloni, uragani e tifoni, sono influenzate dal riscaldamento delle acque superficiali oceaniche.
Abbiamo tutti memoria dei due disastrosi eventi di maggio 2023 e dell’episodio di settembre 2024 in Emilia Romagna, che hanno messo in ginocchio un'intera regione, la quale con straordinaria forza, sta pian piano riprendendosi dal disastro subìto.
Ci sono aree del mondo dove la popolazione vive in condizioni di estrema povertà e che sono del tutto impotenti dinanzi alla forza devastatrice delle calamità naturali. In Bangladesh, ad esempio, esistono intere popolazioni che vivono e lavorano nei campi che costeggiano il fiume Meghna. Sono popolazioni emarginate e senza terra, che abitano in case che poggiano sulle strisce di sabbia che le acque non hanno sommerso (denominati chars) e che ad ogni inondazione del fiume, sono costrette a trasferirsi per costruire un nuovo riparo, che li permetta di avere un tetto sotto cui dormire, fino a quando il fiume glielo concederà.
È necessario che il mondo dell’Architettura ponga attenzione a queste tematiche, offrendo soluzioni in grado di fronteggiare le calamità naturali, attenuandone il più possibile gli effetti sulla popolazione mondiale.
Una risposta concreta viene proprio dal Bangladesh, dallo studio di progettazione dell’architetto Marina Tabassum, oggi una delle realtà di spicco dell’architettura contemporanea internazionale. Il suo metodo progettuale si sviluppa a partire da uno stretto contatto con le comunità locali, intrecciando contesto culturale, storia e clima. Un approccio che le è appena valso l’inclusione nella lista delle 100 persone più influenti al mondo stilata dal “TIME”.
L'architetto Marina Tabassum insieme al suo team di progettazione, ha condotto una ricerca sull’erosione delle sponde dei fiumi Padma, Jamuna, e Meghna, che si verifica ogni anno a causa delle forti correnti durante i mesi estivi e la stagione dei monsoni, ricerca che ha portato allo sviluppo di “khudi bari” che significa “casetta”.
Si tratta di una struttura leggera in bambù strutturale e giunti in acciaio, dai costi estremamente modici, che può essere eretta, smontata, trasportata e riassemblata altrove dai residenti stessi. I due livelli della casa modulare raddoppiano l’utilizzo dello spazio ed offrono rifugio in caso di allagamenti. I materiali da costruzione sono di provenienza locale per ridurre i costi e l’impronta di anidride carbonica. Sono state costruite e donate oltre 100 khudi bari, grazie alla sinergia tra architetti, ONG, governo locale e agenzie umanitarie. Sono strutture aggregabili in configurazioni più complesse che consentono di allestire veri e propri luoghi di incontro per le persone.
Responsabilità verso l’ambiente ed amore per la condizione umana, sono i temi chiave, la sfida che attende l’architettura del futuro.